Quanto è cambiato il panorama televisivo italiano negli ultimi 20 anni? Tanto, tantissimo. Forse troppo, se guardiamo alle storture che ne hanno caratterizzato la necessaria evoluzione dal tubo catodico agli schermi piatti, dall'analogico al digitale, dal duopolio alle Web Tv. Ed è cambiato non solo sul fronte di chi la Tv (inteso come media) la confeziona e la trasmette ma anche (anzi, soprattutto) per ciò che concerne chi il televisore (inteso come apparecchio elettronico) lo produce e lo vende sul mercato. Quello che era un settore forte dell'industria italiana di fatto non c'è più o quasi. Di produttori di televisori "made in Italy" – e per produttori intendiamo chi i Tv li sviluppa in laboratorio prima di assemblarli nella propria fabbrica – è rimasta la sola Mivar di Carlo Vichi, alle prese da tempo con problemi (cassa integrazione in primis) che ne hanno drasticamente ridimensionato vendite, stabilità finanziaria e prospettive future. Perché nel giro di pochi anni sono via via scomparse aziende che hanno fatto la storia di questo comparto? Cosa ha favorito l'avanzata inarrestabile dei colossi coreani?
L'elenco dei marchi che mai più vedremo sugli scaffali di negozi e centri commerciali è lunga: Sinudyne, Radio Marelli, Galaxy, Ultravox, Voxon, Autovox, Emerson (esperimento fallito a firma di Sanyo), Brionvega. Con Mivar prova a reggere il passo la Seleco (che assemblea telai prodotti in Far East) e al posto dei nomi storici di cui sopra l'offerta "made in Italy" è affidata ad Hantarex, Keymart e Videocom (di proprietà indiana), anch'essi solo puri assemblatori. Alla vigilia di un appuntamento clou per il mondo della consumer electronics come l'Ifa di Berlino (in programma dal 29 agosto al 3 settembre) un flash back era d'obbligo. Lo facciamo con un grande esperto di questo settore in materia, Celestino Badiali, oggi sales manager e direttore di divisione di Eldor Innovazione (realtà hi-tech brianzola arrivata in passato al top in Europa nell'ambito dei componenti avvolti per Tv) con alle spalle 30 anni di esperienza nell'elettronica di consumo.
A metà degli anni '90 in Italia c'erano almeno 10 produttori di Tv a tubo catodico, fra cui anche la Philips (a Monza), che si contendeva il mercato con Mivar e Seleco. Oggi si parla solo di Lcd e di questi produttori non c'è più traccia o quasi. Quali le cause?
I motivi sono tanti. La differenza fra gli apparecchi Crt (Cathode ray tubes, ndr) e gli Lcd, e non solo sotto il profilo tecnologico, è grandissima. I primi si imposero nel segno dei grandi gruppi europei come Philips, Siemens, Thomson e St Microelectronics, che avevano in mano con i giapponesi il pallino dei circuiti integrati, dei componenti e naturalmente dei cinescopi. La tecnologia a cristalli liquidi è totalmente un business asiatico, dalla ricerca e sviluppo della mother board alla produzione dei pannelli, e coreano in modo particolare.
Alla fine degli anni '90 la Mivar era leader di mercato con circa il 35% di share. Oggi dominano Samsung, Lg, Sony. Perché?
La Mivar è stata abilissima alla fine degli anni ‘80 e per tutto il decennio successivo a sviluppare televisori essenziali, con telai ridotti all'osso ma con componentistica di massimo livello che comprava a costi inferiori agli stessi clienti interni dei grandi fornitori di cinescopi e integrati. Sul mercato portava prodotti di buona qualità a costi inferiori alla concorrenza e vendeva assai di più delle varie Sony, Philips, Thomson e via dicendo. Oggi questo non è più possibile perché con gli Lcd sono cambiate le logiche di capacità produttiva e le dinamiche commerciali. Il pannello, a differenza del cinescopio, incide molto di più sul costo del televisore e pensare di essere avanti sotto l'aspetto della circuiteria è pura utopia.
L'industria italiana ha perso un'altra occasione, dopo i computer (vedi Olivetti), per rimanere all'avanguardia nell'hi-tech? Se la Tv made in Italy chiude i battenti di chi è la colpa?
Occorre rileggere con attenzione la storia di questo settore. Agli inizi degli anni '70 la battaglia era sul bianco e nero, poi si è spostata sul colore e sugli standard Pal e Secam e qui sono iniziati i primi ritardi di natura "politica". A inizio anni '90 aziende come Formenti o Imperial avevano grande appeal sui mercati esteri, Germania e Regno Unito in particolare, mentre Mivar e Seleco erano i marchi leader in Italia. Da metà anni '90 in poi le grandi multinazionali hanno iniziato a spostare la produzione dei Tv Crt e dei primi Lcd in Est Europa, dalla Polonia alla Slovacchia, per impattare in modo sostanziale su costi fissi e variabili. E questo ha dato il via alla situazione di mercato che vediamo oggi. Dove a dettar legge sono i grandi gruppi e dove un fenomeno in stile Mivar è irrepetibile perché il gap tecnologico, produttivo ed economico nei confronti dei colossi è enorme.
Il ribasso dei prezzi al consumo dei Tv Lcd è stato il fattore di svolta, quello che ha spianato la strada ai grossi calibri della consumer electronics asiatici e che ha messo nell'angolo i produttori europei?
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